A casa nostra abbiamo sempre sentito parlare dello zio Beppe, ma non lo abbiamo mai conosciuto.
A volte è strano chiamare ‘’zio’’ una persona che non abbiamo mai visto, però sentendo i racconti dei nostri genitori abbiamo iniziato a conoscerlo, a sentirlo vicino e a sentire la responsabilità di raccontare la storia di una persona che non c’è più.
Ci hanno raccontato che amava il mare, la sua famiglia, la sua fidanzata Assia, il suo cane, e il suo lavoro. Aveva deciso di diventare poliziotto prestissimo, e ha avuto la grande fortuna di riuscire a coronare il suo sogno.
Era arrivato a Palermo dopo l’omicidio di Dalla Chiesa e qui aveva cominciato le indagini sui boss mafiosi della zona. La sua principale intuizione infatti consisteva nell’aver realizzato che i boss, per poter esercitare il dominio su una zona non potevano allontanarsi da questa per troppo tempo.
Ci fa sorridere sentir parlare di lui come un eroe perché sappiamo bene che non lo era. Era il più scapestrato della famiglia e anche nel lavoro non seguiva tanto gli schemi. I suoi amici lo prendevano in giro perché lui e i suoi colleghi Ninni Cassarà e Roberto Antiochia si facevano prestare ciò che serviva per gli appostamenti, ad esempio parrucche e auto.
Spesso ci chiediamo quanto la sua storia abbia influito sulle nostre scelte e sul nostro modo di vedere le cose. Per la nostra famiglia l’impegno e la condivisione del dolore all’interno di Libera è stato ciò che ha permesso loro di lenirlo e dare un senso a ciò che è successo, e noi abbiamo scelto di seguire le loro orme raccontando la storia di nostro zio.
Marta, Carlotta e Luigi Montana