Salvo e la sua famiglia stanno da tanti anni stanno percorrendo la difficile strada verso la giustizia e la verità sulla morte del padre. In questo percorso li affianchiamo e ci teniamo a far conoscere Salvo che ha accettato di svolgere il ruolo di referente regionale per la memoria per il Lazio.
Come hai conosciuto Libera?
Il 21 marzo 2005, al mattino, ho letto su un quotidiano che in quella giornata a Roma, i familiari delle vittime innocenti delle mafie si sarebbero riuniti sulla piazza del Campidoglio per ricordare i loro cari e tutte le altre vittime innocenti delle mafie.
Non ne aveva mai sentito parlare prima di quel giorno e ho deciso di andare a vedere di cosa si trattasse. È stata la giornata che per la seconda volta, dopo quella dell’omicidio di mio padre, mi ha segnato la vita! Ho conosciuto quel giorno, quelli che sono poi diventati la mia “famiglia”, i miei “fratelli e sorelle”, coloro che con il mio stesso dolore nel cuore stavano già impegnandosi per non vanificare la morte dei loro cari.
Come è cambiata la tua vita da quel momento?
Quel giorno ho capito che per 14 anni, da quando mio padre era stato assassinato dalla mafia, io non avevo saputo fare altro che compiangermi e lamentarmi per la sua tragica morte, non avevo saputo fare altro che aspettare che qualcun altro facesse qualcosa per cambiare la situazione. Quel giorno del 2005 ho capito che altri invece, che come me avevano subito sulla loro pelle lo stesso straziante dolore della morte per mano mafiosa, erano lì su quella piazza a ricordare le loro vittime all’Italia intera, a gridare i loro nomi, a raccontare le loro storie, per fare in modo che i valori per cui sono morti siano d’esempio, graffino le coscienze di tutti e siano il vero e unico fondamento della nostra società e della nostra nazione.
Quel giorno ho realizzato che il mio “impegno” era necessario, oltre che doveroso, e che ricordare e raccontare mio padre e la sua storia doveva da quel momento essere il mio contributo principale al contrasto delle mafie e del sistema vigliacco che ce lo ha strappato via. La grande eredità di valori e ideali che mi ha lasciato mio padre, oltre a improntare la mia vita e il mio agire quotidiano, deve essere da me testimoniata e condivisa e deve servire d’esempio per la costruzione di una società giusta e solidale.
Cos’è per te Libera?
Libera è la mia “famiglia”. Di Libera fanno parte, oltre ai familiari delle vittime innocenti delle mafie, tante altre persone e associazioni che sono accomunate dalle mie stesse idee, valori e ideali e che tutti i giorni, ciascuno nel proprio ambito di responsabilità, si impegnano per contrastare il dilagare della illegalità e della corruzione che sono l’humus nel quale mafie e criminalità prosperano e si diffondono.
Il loro è un impegno volontario, convinto, per il quale spesso sacrificano tanto, è alimentato dalla speranza di potere un giorno arrivare a liberarsi dal giogo delle mafie e di potere finalmente far parte di una società libera e giusta.
Chi era Francesco Vecchio
Era capo del personale dell’azienda Megaradi Catania. Sul finire degli anni ’80, l’Acciaieria aveva avviato un processo di ammodernamento tecnologico e successivamente era ricorsa alle prestazioni di alcune società esterne, che utilizzavano proprio personale. Vecchio si occupò dei controlli sui lavoratori e sulle attività aziendali, anche dell’indotto. Lo fece con rigore, attenzione e professionalità. Poco dopo iniziarono le minacce telefoniche e le intimidazioni. Il 31 ottobre 1990, all’età di 52 anni, Francesco Vecchio venne assassinato a Catania insieme all’amministratore delegato della Megara, Alessandro Rovetta, poco lontano dall’uscita dell’azienda, mentre a bordo della sua auto tornava a casa dopo una giornata di lavoro. Le indagini sul suo omicidio seguirono la pista del possibile interessamento della mafia al finanziamento regionale che la ditta aveva ricevuto per l’ammodernamento, circa 60miliardi di lire, e al possibile controllo dell’azienda stessa.