Il 9 novembre 1995 a Catania venne ucciso l’avvocato Serafino Famà. Fu condannato a morte perché non aveva acconsentito alla deposizione di una sua assistita al processo che vedeva coinvolto Giuseppe Di Giacomo, reggente del clan Laudani. Avvocato dalla schiena dritta che faceva il proprio mestiere con onestà e coraggio. Lo ricordiamo con le parole di suo figlio Fabrizio affinché il nostro impegno quotidiano sappia trovare sempre forza e consapevolezza.
Nove Novembre. È un dolore che si rinnova. È un dolore che torna, senza che te lo aspetti e più forte e profondo di prima, perché ogni anno scopri qualcosa di nuovo, un nuovo tassello del puzzle che trova la sua collocazione, un nuovo dettaglio che si fa più nitido e diventa più chiaro e anche il quadro d’insieme diventa più completo, ma anche più complesso, nuove sfumature si aggiungono ai colori che all’inizio sembravano soltanto delle sfumature di grigio, mentre adesso diversi colori affiorano, dapprima tenui e sbiaditi, per poi diventare vividi e intensi come il sangue delle ferite che porti dentro e che quando meno te l’aspetti si riaprono e bruciano come il primo giorno.
Durante tutto l’anno sembra che si siano rimarginate e che le cicatrici che porti prima o poi svaniranno, ma puntualmente si riaprono ogni anno negli stessi giorni, a ricordarti che ci sono e che ti accompagneranno per tutta la vita.
E forse è giusto così perché, anche se bruciano dannatamente, sono anche ciò che ti rimane di chi non c’è più e in qualche modo continua ad esserci anche quando non ne sei cosciente. Ed è così che il ricordo di chi si è amato si manifesta quasi sempre: non è una brezza leggera di primavera, nè un caldo sole d’estate. È un mare d’inverno in tempesta, con onde così alte che spazzano via qualsiasi cosa e ti annegano fino a toglierti il respiro.
E ogni volta che un ricordo affiora ti ritrovi senza fiato ad annegare negli oceani di lacrime che hai versato in tutti questi anni, lacrime che non potrai più versare perché ne hai già versate così tante da non averne più in questa vita. Venti anni di vita vissuta senza tuo padre sono un quarto della tua vita incompleti, perché ti senti come ti fosse mancato qualcosa e in effetti è così perché quel ragazzo di vent’anni oggi è diventato un uomo quarantenne, ma ha dovuto lottare contro il mondo per farsi accettare, senza il sostegno e la guida del proprio padre e ha dovuto farsi bastare i mòniti ed i consigli ricevuti in età adolescenziale, quelle perle di saggezza dispensate con la generosità di un uomo semplice ed umile, ma anche fiero ed orgoglioso delle proprie origini, quale mio padre era. Non si tratta di semplice retorica, perché quando arriva una data così importante ti ritrovi inevitabilmente a fare dei conti, dei bilanci, e ti rendi subito conto che da
questo momento in poi il bilancio sarà a tuo sfavore, perché gli anni vissuti senza il padre che non c’è più andranno sempre ad aumentare, mentre quelli in cui era al tuo fianco non solo non aumenteranno, ma si faranno sempre più lontani, fino a diventare un dolce ricordo di bambino, e come tutti i ricordi di infanzia tenderanno a fuggire negli angoli più remoti della memoria, e dovrai faticare non poco per tenerli stretti vicino a te per non perderli, anche se questo comporta inevitabilmente anche il dovere mantenere vive quelle ferite, quel dolore che in certi momenti ti culla e ti accompagna, ma in altri momenti ti tormenta e non ti fa respirare. Ma questo dolore ti ricorda anche che se tu sei ancora vivo è per perpetuare il ricordo e l’esempio di chi hai amato ed è dovuto andar via, affinché il suo esempio sia un messaggio ed un monito anche per chi verrà dopo di te.
Fabrizio Famà