In ricordo di Pina Maisano Grassi

Dopo Elena, scomparsa nel dicembre dello scorso anno, qualche giorno fa, è stata la volta di Pina.
Dopo Elena, la figlia del giornalista Pippo Fava ucciso dalla mafia, se ne è andata anche la moglie di Libero Grassi, l’imprenditore ribellatosi al racket e per questo spazzato via dalla violenza criminale. E il movimento antimafia si trova, di colpo, nuovamente impoverito dalla perdita di risorse umane uniche, perché vere e preziose.
Entrambe sono state vittime, loro malgrado, di una ferita così drammaticamente lacerante come la perdita di un affetto profondo per mano della violenza mafiosa.
Pina Maisano Grassi ha tolto il disturbo, in silenzio, con quel garbo, quell’eleganza e quella discrezione che le erano proprie e che, oggi, sono diventate merce rara in una società dove prevalgono invece l’ostentazione, la sciatteria e il rumore.
Due donne straordinarie, Pina ed Elena, capaci di toccare le corde più profonde delle persone che incontravano nel loro percorso di familiari delle vittime di mafia.
Una testimonianza che non era ripetitiva, formale, al contrario ogni volta significativa e intensa, in quanto se per loro non era scontato parlare in pubblico, eppure erano in grado di modulare il tono delle loro parole e il senso del loro dire, rispettando profondamente chi si trovavano di fronte.
Le ho viste entrambe in azione, alle prese tanto con studenti che con adulti e, in queste diverse circostanze, arrivare a graffiare le coscienze dell’uditorio, catturato ed emozionato ogni volta che la loro fragilità e grazia si facevano forza e denuncia. A chi non le conosceva bene, nel breve volgere di pochi minuti, sembrava quasi di trovarsi di fronte a persone trasformate, del tutto diverse da quelle con le quali si era parlato fino a poco prima.
Due vicende umane profondamente diverse, quella di Elena e quella di Pina, eppure entrambe erano accomunate dalla medesima passione civile, capace di spingerle a superare la naturale riservatezza a manifestarsi in pubblico, per esprimere con dignità e chiarezza il valore di una testimonianza che ancora vale oro per un Paese come il nostro, troppo spesso incapace di ricordare le storie di quanti hanno perso la vita perché non si sono piegati alla violenza e al potere.
Con Elena c’è stata maggiore frequenza di contatti e scambi, solidificati in rispetto e amicizia, in ragione della sua partecipazione con la Fondazione Fava al percorso di Libera Informazione, mentre di Pina i ricordi sono più rari e i più belli che serbiamo sono legati ai percorsi nelle scuole del nord, con la Carovana antimafia e altre occasioni che l’hanno vista tramandare la storia di Libero Grassi ai giovani della Lombardia.
Ci piace ricordare Elena Fava e Pina Maisano Grassi insieme, ci piace parlare di queste due donne accomunandole nella memoria, perché di entrambe porteremo nel cuore la profondità dello sguardo e il sorriso disarmante. È stata una fortuna incontrarle e godere della loro presenza discreta, della loro umanità autentica.
Ora che ricordiamo Pina, dobbiamo fare fatica nel mettere ordine tra i ricordi dei diversi incontri che abbiamo avuto. Tante immagini e altrettante parole restano affidati alla sfera più intima, ma il senso più vero di quanto ci ha lasciato è patrimonio comune e condivisibile.
Pina Maisano Grassi ha raccolto il testimone dal marito e compagno di una vita, Libero, coltivando gli stessi ideali e, soprattutto, la stessa fiducia nell’essere umano. Un credo profondamente laico, intriso di letture, valori e speranze cui Pina si è aggrappata nel momento buio che l’ha costretta a separarsi – temporaneamente, ne siamo certi – dal suo Libero.
A Pina non interessava la contabilità spicciola delle iniziative antimafia che, oltre un decennio fa, con fatica si organizzavano in terre come quelle lombarde, dove non era scontato la risposta positiva di una pubblica opinione, colpevolmente distratta. Si rendeva disponibile, a prescindere dall’esito positivo o meno della manifestazione. Aveva l’urgenza di parlare e di raccontare la vicenda di Libero e quindi non le interessava avere altre particolari garanzie.
Ricordo che in una di quelle fredde serate che solo la Lombardia sa regalare, mi scusai con lei per il fatto che all’iniziativa prevista c’erano state poche presenze. Invece di condividere l’amarezza per il mezzo fallimento, mi rincuorò segnalando che lei era contenta anche di quei pochi che erano intervenuti, perché sarebbero stati a loro volta portatori sani di speranza e memoria.
Che lezione!
Pina si è spesa fino all’ultimo. La “nonna” dei ragazzi e delle ragazze di Addio Pizzo, ormai uomini e donne cresciuti nell’impegno e nel segno di Libero Grassi, è stata fino alla fine un punto di riferimento alto del movimento antiracket di Palermo e del nostro Paese. Un movimento antiracket che mostra qualche crepa per protagonismi e contrapposizioni e che avrebbe avuto ancora tanto bisogno della presenza di nonna Pina.
Grazie Pina per quello che hai fatto. Incontrare e parlare con te, era come incontrare e parlare con Libero: una magia spiegabile solo con le regole dell’amore, ma sicuramente un regalo davvero unico ogni volta.

 

Lorenzo Frigerio

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