Gaetano Marchitelli se n’è andato a quindici anni all’improvviso. Un viso giovane e pulito, di quei visi che non conoscono tristezza, che non sanno ancora dare un senso alla parola fine. Era fermo nei pressi della pizzeria nella quale lavorava, alle undici di sera del 2 ottobre 2003. I proiettili sparati da un’auto lo hanno colpito alla schiena. Con lui, a terra, Mario Verdoscia che sopravvivrà all’amico, non senza difficoltà.
I veri bersagli erano Michele e Raffaele Abbinante, 29 e 22 anni, che secondo alcuni testimoni avrebbero utilizzato il quindicenne come scudo. Gaetano dunque sarebbe tecnicamente morto per errore. Un danno collaterale. Quel proiettile non cercava la sua schiena, eppure è lì dentro che è finito. E spiegatelo ai suoi genitori quale errore c’è nel trovarsi una sera d’autunno nel quartiere in cui ogni giorno si vive e si lavora. A Carbonara, alla periferia di Bari, non si muore per errore né per caso. Gaetano è stato colpito con consapevolezza, vittima innocente di una faida per il controllo della droga che non temeva danni collaterali.
Ai colpevoli dell’omicidio, Luigi Frasca, Giovanni Partipilo e Domenico Masciopinto, una condanna in secondo grado a vent’anni di detenzione. Alla città di Bari una ferita che vale una vergogna. A quelle madri cullate dalla certezza che a quei ragazzi dal viso giovane e pulito, dopotutto, non sarebbe potuto accadere mai niente di male, resta il ricordo dell’ultimo abbraccio. Un’ultima volta che sanno essere l’ultima solo quando si è ormai compiuta, e che le lascia a rimproverarsi per non averli stretti un po’ più forte. Il dolore della morte è di chi resta vivo. A tutti noi il dovere di non lasciarli soli.
Marica Todaro