Il 23 gennaio del 2003, Antonio Vairo, un ambulante di 68 anni, si trovava in Calata Capodichino per acquistare alcune bibite. Mentre si intratteneva dinanzi all’associazione cattolica alla quale era iscritto, fu colpito mortalmente alle spalle. Il caso di Vairo venne archiviato dopo 18 mesi per scambio di persona, come racconta uno dei legali della famiglia. Nella determina del Ministero dell’Interno, infatti, si legge che Antonio Vairo è da ritenersi vittima innocente della criminalità organizzata perchè “fu ucciso per errore nell’ambito delle scommesse clandestine”. Un mistero che è rimasto tale anche dopo dieci anni.
Vincenzo Miceli era un imprenditore. Venne ucciso a Monreale (Pa) il 23 gennaio del 1990 perché non aveva voluto cedere alle estorsioni.
Attilio Romanò è stato ucciso a 29 anni a Napoli, il 24 gennaio del 2005. Si trovava all’interno del negozio di telefonia a Capodimonte dove lavorava. Abitava invece a Miano, un quartiere limitrofo a quelli di Secondigliano e Scampia, dove imperversava la faida tra il clan Di Lauro e la cosca degli scissionisti. Romanò è stato colpito perché scambiato per un’altra persona.
Giangiacomo Ciaccio Montalto era in Magistratura dal 1970 come Sostituto Procuratore della Repubblica di Trapani, dove era arrivato nel 1971. Negli anni ’70 era stato pubblico ministero nel processo contro Michele Vinci, il cosiddetto “mostro di Marsala” che aveva rapito, gettato in un pozzo e lasciato morire tre bambine, tra cui una nipote. Aveva svolto le indagini sui clan trapanesi dediti al traffico di droga, al commercio di armi, alla sofisticazione di vini, alle frodi comunitarie e agli appalti per la ricostruzione del Belice, e sui collegamenti tra mafia trapanese e Cosa nostra americana. Fu ucciso il 25 gennaio 1983 mentre rientrava a casa a Valderice, privo di scorta e di auto blindata, nonostante le minacce ricevute. Aveva 40 anni e lasciava la moglie e tre figlie.
Antonino Giannola, entrato in magistratura a soli 24 anni, fu assegnato alla Corte d’Assise di Palermo alla fine degli anni ’40, in momenti storici particolarmente complessi per la Sicilia dove le note vicende riguardanti il separatismo, le lotte agrarie e il banditismo ebbero nella strage di Portella della Ginestra l’espressione più tragica e violenta. In quegli anni, Antonino Giannola svolgeva le delicatissime funzioni di giudice a latere in Corte d’Assise, dove si celebravano anche i processi alla banda Giuliano. Gli fu assegnata una scorta armata che lo accompagnava, a piedi, in tutti i suoi spostamenti.
Presidente del Tribunale di Nicosia (EN), il 26 gennaio del 1960, mentre presiedeva un’udienza civile nel suo ufficio, venne barbaramente assassinato da un individuo armato, esasperato per un ulteriore rinvio di una causa da lui intentata contro un avvocato. L’uomo era convinto che l’ambiente forense locale gli fosse ostile. Giannola abitava a Palermo con la moglie e i suoi tre figli.
Ciro Zirpoli era figlio di Leonardo Zirpoli, ex narcotrafficante che aveva iniziato a collaborare con la giustizia. Il 26 gennaio del 1997 Ciro fu trucidato a colpi di arma da fuoco, da due killer in moto a Ercolano. Aveva appena 16 anni. Pochi mesi dopo, la sua tomba venne profanata da alcuni vandali. L’intento dei mafiosi era quello di ridurre al silenzio e alla rassegnazione il padre.
Mario Francese iniziò la sua carriera come telescriventista dell’ANSA. Successivamente passò alle funzioni di giornalista e scrisse per il quotidiano “La Sicilia” di Catania. Di simpatie monarchiche, nel 1958 venne assunto all’ufficio stampa dell’assessorato ai Lavori Pubblici della Regione Siciliana. Nel frattempo intraprese la collaborazione con “Il Giornale di Sicilia” di Palermo.
Nel 1968 si licenziò dall’ufficio stampa per lavorare a pieno nel giornale, dove si occupava della cronaca giudiziaria, entrando in contatto con gli scottanti temi del fenomeno mafioso. Divenuto giornalista professionista, si occupò della strage di Ciaculli, del processo ai corleonesi del 1969 a Bari, dell’omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e fu l’unico giornalista a intervistare la moglie di Totò Riina, Antonietta Bagarella. Nelle sue inchieste entrò profondamente nell’analisi dell’organizzazione mafiosa, delle sue spaccatture, delle famiglie e dei capi, specie del corleonese legato a Luciano Liggio e Totò Riina. Fu un fervente sostenitore dell’ipotesi che quello di Cosimo Cristina fosse un assassinio di mafia. La sera del 26 gennaio 1979 venne assassinato a Palermo, davanti casa.
Il 26 gennaio 1982 a Isola delle Femmine (Palermo) viene ucciso in un agguato di stampo mafioso il carabiniere in pensione Nicolò Piombino. Colpito dalla criminalità organizzata per la sua collaborazione con le forze dell’ordine nella lotta a Cosa Nostra.
Salvatore Manzi, 30 anni, era un maresciallo di terza classe della Marina in servizio a Roma. Fu assassinato su un campo di calcio a Cicciano (Napoli) il 26 gennaio del 1996. I killer fecero irruzione sul campo di gioco e, dopo aver fatto stendere a terra i giocatori, si avvicinarono a uno di essi, per assicurarsi si trattasse della persona giusta; e gli spararono. Dal fucile a canne mozze dei sicari partirono tre colpi: due andarono a segno e per Salvatore Manzi non vi fu scampo. Un omicidio apparentemente inspiegabile. Secondo gli investigatori, però, la morte di Manzi potrebbe essere legata a una vendetta trasversale. L’uomo infatti era in rapporti di parentela con alcuni esponenti del clan camorristico dei Cava, la famiglia che per anni ha dettato legge a Quindici (Avellino). A Quindici, infatti, era in corso da anni una faida che vedeva i Cava opposti ai Graziano. Lì risiedevano ancora i suoi genitori, ma il sottufficiale, quando rientrava da Roma, si fermava a Nola (poco distante da Cicciano), dove sono rimasti la moglie e il figlio.
Ugo Triolo, avvocato, fu per quindici anni vice pretore onorario di Prizzi. Il pomeriggio del 26 gennaio 1978 stava rincasando nella sua abitazione di Via Cammarata a Corleone quando venne raggiunto da una raffica di proiettili che lo uccisero sul colpo.