Giuseppe Montalto era un poliziotto e come agente scelto della polizia penitenziaria prestò in un primo tempo servizio al carcere Le Vallette di Torino. In seguito svolse servizio presso il carcere dell’Ucciardone di Palermo, nella sezione di massima sicurezza, quella riservata ai boss. Venne ucciso il 23 dicembre 1995 da due killer in una frazione di Trapani, Pietretagliate, davanti alla casa del suocero. Anni dopo, il pentito Francesco Milazzo rivelò che Montalto fu ucciso perché aveva sequestrato un bigliettino fatto arrivare in carcere ai boss Mariano Agate, Raffaele Ganci e Giuseppe Graviano.
Nicolò Azoti nacque a Ciminna (PA) il 13 settembre 1909, da Melchiorre e da Orsola Lo Dolce. A otto anni, però, si trasferì con tutta la famiglia nella vicina Baucina, dove mise radici. Nel 1939 sposò Domenica “Mimì” Mauro, da cui ebbe due figli. Nei difficili anni del dopoguerra, la sua attenzione fu attratta dalle misere condizioni dei contadini, che cominciò a organizzare nella Cgil, battendosi per la riforma agraria. Divenne, quindi, segretario della Camera del lavoro; fondò l’ufficio di collocamento e progettò la costituzione di una cooperativa agricola. Il tentativo di far applicare la nuova legge sulla divisione dei prodotti agricoli a 60 e 40 (60% al contadino, 40% al padrone) provocò lo scontro con gli agrari e i gabelloti mafiosi. Dopo aver subito pesanti minacce, la sera del 21 dicembre 1946, fu colpito da 5 colpi di pistola sparategli alle spalle. Prima di morire, il 23 dicembre, fece i nomi dei suoi assassini sia alla moglie sia ai carabinieri che lo interrogarono, ma la giustizia del tempo non riuscì nemmeno a celebrare un normale processo. L’inchiesta per la sua morte fu archiviata in istruttoria, dopo che il gabelloto, indicato come mandante dell’omicidio, ebbe tutto il tempo di costruirsi un falso alibi.
Alle 19.08 del 23 dicembre 1984, il treno rapido 904 proveniente da Napoli fu squassato da una esplosione violentissima mentre si trovava all’interno della galleria di San Benedetto Val di Sambro (BO), la “galleria degli Appennini”, nei pressi della quale – dieci anni prima – si era consumata la strage sul treno Italicus. A causare la detonazione fu una carica di esplosivo radiocomandata, collocata su una griglia portabagagli mentre il treno era fermo alla stazione di Firenze. L’esplosione provocò nell’immediato quindici morti e circa trecento feriti. A distanza di qualche tempo e per conseguenza dei traumi allora subiti, i morti saliranno a sedici. Persero la vita nell’attentato Giovanbattista Altobelli, Anna Maria Brandi, Angela Calvanese in De Simone, Susanna Cavalli, Lucia Cerrato, Anna De Simone, Giovanni De Simone, Nicola De Simone, Pier Francesco Leoni, Luisella Matarazzo, Carmine Moccia, Valeria Moratello, Maria Luigia Morini, Federica Taglialatela, Gioacchino Taglialatela, Abramo Vastarella.
Dai processi e dalle relazioni della Commissione parlamentare d’inchiesta è emerso essersi trattato di una strage la cui ideazione ed esecuzione erano state il frutto di un intreccio di interessi e legami coinvolgenti, a vario titolo, criminalità organizzata comune e criminalità mafiosa.
Sono passati trentotto anni da quella notte del 23 dicembre del 1978. La notte in cui il
volo di linea AZ 4128 dell’Alitalia in viaggio da Roma Fiumicino a Palermo scompare dai
radar a circa 4 miglia dall’aeroporto di Punta Raisi.
Delle centoventinove persone a bordo, solo ventuno riescono a salvarsi. Nuoteranno
nelle acque del mare antistante lo scalo, trovando riparo su alcuni pescherecci presenti in zona.
Per le altre centotto persone a bordo, trascorse due ore di attesa per i soccorsi ufficiali,
non ci sarà nulla da fare.
Sulle cause della tragedia non si arriverà mai a una univoca ricostruzione dei fatti nonostante le diverse commissioni di inchiesta. Le ricerche del relitto e dei corpi in mare, chiuse a gennaio del 1979 lasciano 17 passeggeri dispersi. Indagati direttori dell’aeroporto palermitano, responsabili dell’aviazione e navigazione aerea, e alcuni ufficiali in servizio la notte della strage, verrano tutti assolti; estinti invece per morte i reati imputati ai piloti.
Nella stessa zona sopra l’aeroporto di Palermo nel 1972 era precipitato un altro aereo di linea, con 115 persone a bordo, e sempre a poche miglia, nel 1980 ci sarà la più nota strage di Ustica.
Sui fatti del 1978, più che sugli altri due cala subito l’oblio, collegato a una parziale e poco corretta informazione riscontrabile anche oggi.
La stele commemorativa realizzata dai familiari viene dimenticata e circondata dai rifiuti nell’assenza delle istituzioni. Il 23 dicembre 2010 sul luogo della strage con i familiari delle vittime nel giorno dell’anniversario c’è Don Luigi Ciotti :
“Credo che tutti noi abbiamo il dovere della memoria, ne abbiamo la responsabilità.
Dobbiamo chiedere verità e giustizia. Il Natale è una festa della giustizia, non
dimentichiamolo” (…). Qui è stata calpestata la democrazie del nostro paese”. Queste le parole del fondatore di Libera , che da quel giorno è rimasto al fianco dei familiari insieme alla sua associazione.
Graziano Muntoni, sacerdote della diocesi di Nuoro, venne ucciso a Orgosolo alle 6.00 del mattino del 24 dicembre 1998, a due passi dalla chiesa, dove si stava recando per celebrare la Messa. Entrò in seminario giovanissimo, ma lo dovette abbandonare per una malattia ritornando al suo paese, Fonni, ai piedi del Monte Gennargentu. Con l’andar del tempo divenne presidente della Pro Loco, consigliere comunale e assessore al turismo, insegnante di musica e poi di lettere. Ormai 50enne, era riuscito infine a realizzare il suo sogno, laureandosi in Teologia e facendosi prete. Un anno dopo fu inviato come viceparroco a Orgosolo. Il giorno del suo funerale il Vescovo stesso disse: «La testimonianza del suo sangue versato va accolta come un invito forte a costruire una società che in forza del Vangelo bandisce la violenza e l’odio per costruire la civiltà dell’amore». Don Muntoni era il prete dei giovani, parlava di banditismo e di omertà.
Giovanni Ventra era consigliere comunale del PCI. Venne assassinato il 27 dicembre del 1972 a Cittanova (RC), durante un agguato della terribile faida dei Facchineri contro gli Albanese nella città della Piana di Gioia Tauro.
Emanuela Sansone aveva diciassette anni ed era la figlia della bettoliera Giuseppa Di Sano. Fu uccisa il 27 dicembre 1896 a Palermo da alcuni falsari che sospettavano che la madre li avesse denunciati per l’attività illegale che svolgevano. Dopo l’omicidio della figlia, Giuseppa Di Sarno iniziò a collaborare con la giustizia, uno dei primi esempi di collaborazione. L’episodio è analizzato nei rapporti del questore di Palermo Ermanno Sangiorgi
Pietro Giro fu ucciso il 28 dicembre del 1989 a Palma di Montechiaro (AG). Era il titolare di una piccola autolinea, aveva 38 anni ed era cugino di uno dei ribelli di Palma. Nessun precedente e nessun legame accertato con le cosche. Fu assassinato con due colpi di pistola.
Giovanna Stranieri aveva solo 24 anni, una ragazza come tante in cerca di lavoro, diplomata in ragioneria. Una domenica come tante, a passeggio con un’amica per le strade del centro di Taranto e i bambini che esplodono i petardi: un anticipo per la notte di Capodanno. Forse Giovanna non li ha neanche sentiti gli spari, gli spari dei proiettili che l’hanno uccisa il 29 dicembre del 1991. Si è ritrovata nella traiettoria di alcuni uomini che si inseguivano sparando in una strada affollata di persone.
Giuseppe Piani era un carabiniere scelto appartenente alla squadra di polizia giudiziaria della Tenenza di Torre del Greco. Il 29 dicembre 1967 una telefonata segnalò la presenza di un noto ricercato nei locali di un barbiere della città. Giuseppe Piani, accompagnato dal Brigadiere Antonino Pizzo, intervenne e arrestò il pregiudicato. Nel viaggio di ritorno, però, il criminale riuscì a liberarsi e a fare fuoco sui due componenti delle forze dell’ordine. Giuseppe Piani morì subito dopo l’arrivo in ospedale.