Abbiamo intervistato Alfredo Borrelli, figlio di Francesco Borrelli, assassinato in piazza a Cutro nel gennaio del 1982. Dalla morte del padre, Alfredo si impegna per smuovere le coscienze affinché vicende del genere non si ripetano più.
Come hai conosciuto Libera?
Ho conosciuto Libera da subito, da quando è nata, perchè facevo attività politica già a 20 anni soprattutto sui temi dell’ambientalismo, e dell’antimafia. Mi è capitato anche di organizzare, in questa veste,la partecipazione al 21 marzo. Ben diverso è quando Libera ha conosciuto “me”, come Alfredo figlio del Maresciallo Francesco Borrelli, Vittima del Dovere.
Nonostante viva da 25 anni a Roma, questa cosa è accaduta in Calabria, la mia terra, quella dove mio padre è stato ucciso nel 1982.
E, forse, era destino che dovesse esser così.
Come è cambiata la tua vita da quel momento?
C’è un momento, un luogo preciso: Pietra Cappa, in Aspromonte, il 22 luglio del 2008, il giorno in cui con l’associazione daSud e Libera facevamo la lunga marcia della memoria, per accompagnare Deborah Cartisano e i suoi familiari nel ricordo del sequestro e della morte del papà Lollò Cartisano.
Quel giorno si è incarnato dentro me il senso delle parole di Don Luigi: “la memoria come impegno”.
Da quel giorno ho capito che il mio impegno non poteva essere scisso dalla mia storia, anzi, la memoria doveva essere da guida a esso.
E ho iniziato a raccontare la mia storia.
E’ stata una scintilla, anticipata però da un “riscaldamento” dell’anima, dovuta all’amicizia e ai percorsi fatti con persone eccezionali come Danilo Chirico e Celeste Costantino e soprattutto Stefania Grasso, che mi ha insegnato con la sua semplice determinazione che non c’era altro modo di essere che mettere le nostre storie a servizio del nostro impegno.
Dal 2008 sono certamente un uomo che vive con dignità e forza la ferita subita da bambino, non nascondendola, non fingendo che sia superabile, ma raccontandola per far capire che c’è una Italia, forse la più bella, che deve sorgere dai nomi delle vittime, come fa l’agave, che morendo sparge i semi che cresceranno, e che il monento per formare le coscienze e informare le menti è adesso, sempre.
Cos’è per te Libera?
Libera è il 21 marzo, sono quei nomi scanditi, uno con la stessa dignità dell’altro, ognuno la tessera di un mosaico che adesso non deve temere di star nascosto, ma che riesce a fare rete, sapendo che siamo donne e uomini, perciò fallibili, ma insieme rappresentiamo un’idea bellissima: liberarci dalle mafie, per prime quelle che tentano di invadere i nostri cuori e le nostre teste.
Chi era Francesco Pantaleone Borrelli
Francesco Pantaleone Borrelli era nato il 20 Agosto 1941 a Papanice, una frazione di Crotone. Al momento dell’attentato era Maresciallo dei CC in servizio al Nucleo Elicotteri di Vibo Valentia, aveva una moglie e due figli, Alfredo e Caterina, di 7 e 6 anni.
Borrelli era dunque un carabiniere, nello specifico un elicotterista. Un mestiere pericoloso, soprattutto in Calabria, nella stagione dell’Anonima Sequestri in Aspromonte. Il maresciallo Borrelli è caduto per il senso del dovere. Quel 13 gennaio 1982 è in piazza con gli amici, nella sua Cutro, in provincia di Crotone. Qualche giorno a casa con la famiglia, lontano dal centro elicotteristi di Vibo. Ma l’istinto non va mai in vacanza: sullo sfondo vede un’auto, vede le canne dei fucili, si volta dal lato opposto della piazza e nota sugli scalini del bar il boss Antonio Dragone. Ci vuole solo qualche secondo per realizzare che sta per scoppiare l’inferno. Il carabiniere Francesco Borrelli non è in divisa, e in fondo non è pagato per morire. Ma fa il proprio dovere fino alle estreme conseguenze. Si mette a urlare per far allontanare la gente. I fucili sparano, il boss si salva, il maresciallo Borrelli è colpito in pieno, il comandante dei carabinieri di Cutro è al riparo dietro la saracinesca del bar che aveva abbassato per nascondersi (verrà in seguito degradato dall’Arma).
Per Francesco Borrelli i funerali di Stato e una medaglia d’oro al valor civile (non militare, nonostante fosse un carabiniere, perché non aveva sparato nessun colpo di arma da fuoco). Nessun colpevole invece per la sua morte.